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La Consulenza Tecnica nel Processo Civile.

la consulenza tecnica     La consulenza tecnica va annoverata tra i mezzi di prova in senso lato, in quanto non può essere disposta per la ricerca delle prove che le parti hanno l’onere di fornire o per ovviare a delle carenze probatorie imputabili alle parti stesse.

A norma dell’art. 61, 1° comma c.p.c., “quando è necessario, il giudice può farsi assistere … da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica”.

Va, inoltre, evidenziato che – la consulenza tecnica o Ctu è sicuramente uno strumento spesso necessario all’accertamento ed alla descrizione dei fatti, laddove i fatti da accertare siano riscontrabili solo attraverso specifiche cognizioni od esperienze tecniche – quando la decisione della controversia dipende dalla risoluzione di una questione tecnica (es. è ovvio che deve essere un consulente tecnico nominato dal giudice ad accertare che ci siano delle infiltrazioni all’interno di un appartamento di proprietà privata, con conseguenti cause ed effetti).

Ai sensi degli artt. 191, 1° comma e 22 disp. att. c.p.c. il giudice istruttore dispone la consulenza tecnica ed effettua la nomina di un consulente scegliendo tra quelli iscritti all’albo del Tribunale di appartenenza del giudice. Con l’ordinanza di nomina, il giudice fissa l’udienza nella quale il consulente tecnico deve comparire per il giuramento ed il conferimento dell’incarico, in tal caso, il giudice deve assegnare alle parti un termine entro il quale le stesse, con dichiarazione resa dal proprio Avvocato difensore nelle forme di legge, possono nominare un loro consulente tecnico di parte. L’ordinanza di nomina va, poi, comunicata alle parti, se adottata fuori udienza. L’ordinanza di ammissione della consulenza tecnica d’ufficio non è impugnabile.

Secondo l’art. 63, 1° comma c.p.c., è obbligato a prestare il suo ufficio il consulente tecnico scelto tra gli iscritti in un albo, tranne che il giudice riconosca la ricorrenza di un giusto motivo di astensione. L’inosservanza di detto obbligo comporta responsabilità di natura penale, incorrendo il consulente nel reato di cui all’art. 366, 2° comma c.p. In ogni caso, si può affermare che il giusto motivo di astensione dall’accettazione dell’incarico di consulenza tecnica ricorra nei casi tassativamente elencati dall’art. 51 c.p.c. Qualora, poi, ricorre una delle ipotesi indicate nel sopracitato art. 51c.p.c., il consulente può essere ricusato dalle parti (art. 63, 2° comma c.p.c.).

     Il giuramento non ha carattere essenziale, potendo essere eseguito anche dopo l’espletamento dell’incarico, contestualmente al deposito della relazione. All’udienza di conferimento dell’incarico, il giudice provvede anche a stabilire un anticipo sul compenso. Vale la pena di sottolineare che il consulente tecnico non può rifiutarsi di accettare l’incarico o di adempiere l’incarico ricevuto qualora il giudice non stabilisca l’anticipo, ovvero quando quest’ultimo non gli venga versato dalla parte onerata.

     Anche per questo mezzo di prova il legislatore ha inteso assicurare il pieno rispetto del principio del contraddittorio. 

Quest’ultimo, infatti, viene garantito mediante:

1) la possibilità data alle parti di partecipare alle operazioni anche tramite l’assistenza del proprio avvocato e di nominare propri consulenti;

2) l’obbligo del consulente tecnico d’ufficio di dare avviso dell’inizio delle operazioni peritali;

3) la facoltà riconosciuta alle parti ed ai loro consulenti tecnici di presenziare fisicamente alle operazioni, fare richieste, domande ed osservazione al consulente tecnico d’ufficio, delle quali questi dovrà tenere conto;

4) la possibilità, per i consulenti tecnici di parte, di redigere consulenze di parte ed allegarle agli atti quali scritti difensivi;

5) la necessità che il giudicante, nell’assumere e motivare la decisione, prenda in considerazione le contestazioni ed osservazione mosse dai tecnici di parte al consulente tecnico d’ufficio;

6) la possibilità che i consulenti tecnici di parte siano presenti qualora il giudice ritenga di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d’ufficio in camera di consiglio.

La mancata comunicazione alle parti, o meglio all’avvocato per questi costituitosi in giudizio, delle date di inizio o di proseguimento delle indagini  peritali comporta la nullità della consulenza tecnica, e la sua inutilizzabilità nel giudizio, restando priva di qualsiasi effetto probatorio. Trattasi, di un’ipotesi di nullità relativa, suscettibile di sanatoria a norma dell’art. 157 c.p.c.. Essa, pertanto, come affermato dalla giurisprudenza, deve essere eccepita e dedotta dalla parte interessata, a pena di decadenza, nella prima udienza, o nella prima difesa, successiva al deposito della relazione.

Altra fondamentale garanzia del diritto di difesa è costituita dalla facoltà, per le parti costituite, di affiancare al proprio difensore, un consulente di parte.

Ciò posto, passando alla descrizione delle modalità di svolgimento delle indagini peritali, va osservato che, a norma dell’art. 194, 1° comma c.p.c., solo previa autorizzazione del giudice, il CTU puo’ domandare chiarimenti alle parti, assumere informazioni da terzi ed eseguire piante, calchi e rilievi.

Maggiori problemi sorgono in relazione alla questione concernente la facoltà del consulente di esaminare ed acquisire documenti non prodotti in giudizio. Tuttavia, l’elaborato peritale spesso si fonda su documenti consegnati al consulente dalle parti o acquisiti dal primo nel corso delle indagini peritali, e detta prassi ha trovato positivo riscontro (sovente accade nelle cause di previdenza).

E’ consentito, poi, che il consulente tecnico di ufficio, anche in mancanza di una espressa autorizzazione del giudice, si avvalga della collaborazione di esperti per il compimento di particolari indagini e per l’acquisizione di elementi da vagliare e trasfondere nella propria relazione, purchè l’attività del collaboratore non sia mai integralmente sostitutiva di quella del consulente.

Deve, invece, negarsi al consulente tecnico la facoltà di delegare di propria iniziativa ad altre persone le operazioni peritali. Il CTU deve redigere verbale delle operazioni peritali espletate, documentando così in concreto l’attività svolta.

La relazione scritta va depositata nel termine fissato dal giudice. Il comportamento inottemperante del consulente tecnico può comportare anche la sostituzione del medesimo, ai sensi dell’art. 196 c.p.c. Invece, la rinnovazione delle indagini peritali costituisce l’esercizio di una facoltà discrezionale del giudice, nel contempo, quest’ultimo, anche su sollecitazione motivata delle parti, può limitarsi a chiedere soltanto dei chiarimenti sulla consulenza tecnica resa, valutando all’esito degli stessi se rinnovare o meno, anche solo in parte, le indagini peritali, con le stesso consulente ovvero con altro da nominarsi.

     Il giudice, in caso di dissenso dalle conclusioni del consulente tecnico, deve motivare in maniera adeguata ed esauriente le ragioni che lo inducono a discostarsi dalle valutazioni formulate dall’ausiliario. Il giudice, poi, non può sottrarsi all’obbligo di motivare il suo convincimento, in relazione sia alla pluralità delle soluzioni prospettate dal consulente, sia alle critiche svolte dai consulenti di parte con riguardo specifico alle soluzioni tecniche che siano state escluse.

     Il decreto di liquidazione va comunicato al consulente tecnico ed alle parti, e costituisce titolo provvisoriamente esecutivo nei confronti della parte a carico della quale è posto il pagamento, anche se, a tal proposito, risulterà essere decisivo l’addebito finale delle spese di consulenza stabilito con la sentenza che definisce il giudizio.

Infine, il compenso del consulente tecnico può essere posto pertanto a carico della parte soccombente (con conseguente condanna di quest’ultima al rimborso se ad anticipare la spesa in esame sia stata la parte vittoriosa), ovvero, in caso di ricorrenza dei giusti motivi, può rientrare nell’ambito della compensazione integrale o parziale tra le parti.

 

     Avv. Fedele Ercolano

     Studio Legale

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