Mobbing e risarcimento danni: come funziona?

by Redazione

Il mobbing è una delle forme più gravi di conflitto in ambito lavorativo, con conseguenze pesanti sulla salute psico-fisica delle vittime. Le condotte vessatorie, reiterate e sistematiche, possono determinare danni profondi non solo al benessere personale, ma anche alla vita professionale di chi le subisce. Tuttavia, il confine tra episodi isolati di maltrattamento e un vero e proprio mobbing non è sempre chiaro. È fondamentale comprendere cosa distingue il mobbing da altre condotte lesive e quali sono i requisiti giuridici richiesti per poter ottenere un risarcimento. Solo un approccio rigoroso e ben documentato consente di tutelare efficacemente i propri diritti in sede giudiziaria.

Cos’è il mobbing: definizione e tipi

Il termine “mobbing” racchiude tutte quelle condotte vessatorie, sistematiche e protratte nel tempo, poste in essere da superiori (mobbing verticale), colleghi (mobbing orizzontale) o subordinati (mobbing ascendente) ai danni di un lavoratore. Non tutti i comportamenti spiacevoli o ostili sul posto di lavoro rientrano in questa categoria: è necessario che esista un intento persecutorio mirato a emarginare, svilire o danneggiare la vittima. Gli atti di demansionamento, dequalificazione o marginalizzazione possono essere sintomi di mobbing, ma da soli non sono sufficienti a configurare la fattispecie. Per parlare realmente di mobbing occorre riscontrare un disegno vessatorio unitario e reiterato, volto a ledere la dignità e l’integrità psico-fisica del lavoratore.

Quando si configura il danno da mobbing

Affinché si possa parlare di danno da mobbing, è indispensabile dimostrare una serie di elementi specifici: la condotta persecutoria, la durata e sistematicità degli atti, l’idoneità delle condotte a provocare un danno e il nesso causale tra le vessazioni subite e il pregiudizio alla salute o alla dignità del lavoratore. Come precisato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 2920/2016, non basta la presenza di singole condotte vessatorie: esse devono essere ricondotte a un disegno unitario di persecuzione. L’onere della prova grava interamente sul lavoratore, che deve fornire evidenze concrete dell’intento vessatorio e delle conseguenze subite. Questo rende particolarmente complessa la tutela giudiziaria nei casi di mobbing.

La prova del mobbing nel processo

La dimostrazione del mobbing richiede una prova rigorosa e articolata. Il lavoratore deve documentare puntualmente i comportamenti vessatori subiti e il loro effetto dannoso sulla propria salute o condizione lavorativa. A tal fine, è fondamentale raccogliere prove testimoniali, documentali e, soprattutto, ottenere accertamenti medico-legali specialistici che attestino il nesso causale tra le vessazioni e il danno subito. È importante ricordare che la semplice percezione soggettiva di essere vittima di mobbing non è sufficiente: è necessario fornire al giudice elementi oggettivi e circostanziati che dimostrino la sistematicità delle condotte e l’esistenza di un intento persecutorio. Un’azione ben strutturata può consentire di ottenere il pieno risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

Termini per il risarcimento del danno da mobbing

L’azione volta a ottenere il risarcimento dei danni derivanti da mobbing si prescrive nel termine decennale, trattandosi di responsabilità contrattuale derivante dalla violazione dell’articolo 2087 del Codice Civile. Questo termine decorre dal momento in cui il lavoratore subisce il danno, ovvero da quando si manifesta l’effetto lesivo delle condotte vessatorie. È quindi essenziale agire tempestivamente, senza lasciare trascorrere periodi prolungati che possano pregiudicare l’esercizio dei propri diritti. La tempestività nell’intraprendere azioni legali e nell’acquisire prove è cruciale per il buon esito del giudizio. In ogni caso, il supporto di un avvocato esperto in diritto del lavoro è imprescindibile per gestire correttamente il percorso risarcitorio.

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