TFR e Cassa integrazione: chi paga?

by Redazione

Il trattamento di fine rapporto (TFR) rappresenta una componente fondamentale della retribuzione differita, spettante al lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro. La sua disciplina, contenuta nell’articolo 2120 del Codice Civile, è stata oggetto di numerose modifiche legislative e interpretazioni giurisprudenziali, specialmente in relazione alla maturazione durante periodi di sospensione lavorativa come la cassa integrazione. Capire in quali situazioni il TFR continua a maturare, chi è tenuto al pagamento e quali tutele esistano in caso di insolvenza aziendale è essenziale per ogni lavoratore. Le recenti riforme, come quelle introdotte dal Jobs Act, hanno chiarito alcuni aspetti fondamentali, rafforzando i diritti dei lavoratori e precisando gli obblighi a carico dei datori di lavoro anche in situazioni di crisi aziendale.

Cos’è il TFR e quando si matura

Il trattamento di fine rapporto (TFR) è una somma che il datore di lavoro accantona periodicamente per il dipendente e che verrà corrisposta alla cessazione del rapporto di lavoro. Ogni mese viene calcolata una quota di TFR, sulla base della retribuzione dovuta, che si accumula fino alla conclusione del rapporto. Il TFR può essere destinato a un fondo di previdenza complementare su scelta del lavoratore, oppure lasciato presso il datore di lavoro. In situazioni particolari, come l’acquisto della prima casa o spese sanitarie straordinarie, è possibile richiedere un’anticipazione fino al 70% dell’importo maturato. Il TFR è dunque un diritto patrimoniale fondamentale, che tutela il lavoratore nel momento della cessazione dell’attività lavorativa o in particolari necessità economiche.

TFR e termine di prescrizione

Il diritto del lavoratore a riscuotere il TFR maturato si prescrive in cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Trascorso questo termine senza che sia stata avanzata una richiesta formale o avviata un’azione giudiziaria, il lavoratore perde il diritto a ottenere il pagamento. Per recuperare il TFR, è necessario innanzitutto agire contro l’ex datore di lavoro, cercando di ottenere un titolo esecutivo, come una sentenza o un decreto ingiuntivo. Solo in un secondo momento, e in caso di insolvenza dell’azienda, sarà possibile rivolgersi al Fondo di Garanzia INPS, istituito dalla legge n. 297/1982. È fondamentale agire tempestivamente e in modo corretto per non vedere compromesso il diritto alla riscossione di una somma spesso rilevante.

Cassa integrazione e maturazione del TFR

Quando il rapporto di lavoro subisce una sospensione a causa della cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS), il lavoratore continua comunque a maturare il TFR. L’articolo 2120 del Codice Civile stabilisce chiaramente che, anche in caso di sospensione della prestazione lavorativa, il TFR deve essere calcolato sulla base della retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito in condizioni di normale svolgimento del rapporto. Questa disposizione garantisce che i periodi di cassa integrazione non penalizzino il lavoratore nella futura liquidazione del trattamento di fine rapporto. La maturazione del TFR durante la CIGS è quindi un diritto pieno e non suscettibile di interpretazioni restrittive.

Chi paga il TFR maturato durante la CIGS?

Fino all’approvazione del D.Lgs. n. 148/2015, la normativa prevedeva che l’INPS intervenisse nel pagamento del TFR maturato durante la CIGS solo se il rapporto di lavoro cessava al termine della cassa integrazione. Se, invece, il rapporto proseguiva normalmente dopo il periodo di integrazione salariale, l’intero importo del TFR, inclusa la quota maturata durante la CIGS, spettava al datore di lavoro. La Cassazione, con l’Ordinanza n. 17501/2018, ha confermato che la cassa integrazione non interrompe la maturazione del TFR, né esonera il datore di lavoro dall’obbligo di pagamento. Questa interpretazione ha contribuito a garantire la continuità dei diritti patrimoniali dei lavoratori anche in situazioni di crisi temporanea aziendale.

Le modifiche apportate dal Jobs Act

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 148 del 14 settembre 2015, il Jobs Act ha abrogato la normativa precedente, attribuendo in via definitiva al datore di lavoro l’obbligo di corrispondere il TFR anche per i periodi di cassa integrazione. La Circolare del Ministero del Lavoro n. 24 del 5 ottobre 2015 ha chiarito che le aziende non possono più richiedere il rimborso delle quote di TFR maturate durante la CIGS. Questo cambiamento legislativo ha rafforzato la tutela dei lavoratori, stabilendo che il diritto al TFR maturato resta intatto e totalmente a carico del datore di lavoro, anche nei periodi di sospensione parziale o totale dell’attività.

Cosa accade se l’azienda fallisce?

Se l’azienda fallisce durante o subito dopo un periodo di cassa integrazione, il lavoratore conserva il diritto a percepire il TFR maturato, compresa la quota relativa alla CIGS. In tal caso, il credito deve essere fatto valere presentando domanda di insinuazione al passivo fallimentare. Recenti pronunce, come quelle del Tribunale di Napoli Nord, hanno confermato il diritto del lavoratore a essere ammesso al passivo anche per la parte di TFR maturata durante la cassa integrazione. È importante agire rapidamente e con il supporto di un legale esperto in diritto fallimentare per tutelare il proprio credito. In presenza dei requisiti di legge, sarà possibile ottenere il pagamento integrale delle somme spettanti, anche nell’ambito della procedura concorsuale.

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